Ecco i deinfluencer: chi sono? Che cosa fanno?

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Dopo gli unfluencer, dei quali abbiamo parlato un po’ di tempo fa, ecco i deinfluencer.

Insomma, il mondo degli influencer sembra essere in un periodo di fermento. E il deinfluencing è la tendenza del momento. Ma forse non è passeggera.

ETIMOLOGIA (DE-)

Ma chi sono i deinfluencer? Lo si può intuire partendo dal prefisso de.

Riassumiamo quello che spiega la Treccani:

Il prefisso de si trova in molte parole che derivano dal latino. Indica o l’allontanamento o l’abbassamento o il movimento dall’alto verso il basso. Spesso serve a negare il concetto espresso dal resto della parola. A volte ha una funzione intensiva o conferisce un significato particolare al termine.

In alcuni verbi e nei sostantivi derivati non corrisponde a de bensì a dis– o a s-. Anche in questo serve a negare.

Non sempre quando un termine inizia con de, il de è un prefisso.

DEINFLUENCER, UNFLUENCER E INFLUENCER

Che si tratti di allontanamento o di negazione, i deinfluencer sono una sorta di anti-influencer. Ma se gli unfluencer si differenziano dagli infuencer perché producono contenuti di tipo culturale (in effetti, parlare di contrapposizione tra unfluencer e influencer è un po’ forzato in quanto si occupano di cose diverse), dall’altra potremmo scrivere “deinfluencer vs influencer”.

Perché?

Gli influencer vengono pagati dalle aziende affinché promuovano i loro prodotti. Pertanto, suggeriscono ai loro follower che cosa comprare, dove andare a mangiare, dove andare in vacanza e così via.

I deinfluencer, al contrario, dicono ai propri follower che cosa non comprare.
Il bello è che non sono prezzolati dai competitor dei prodotti sconsigliati: lo fanno spontaneamente.

Non sappiamo se sconsiglino anche i posti in cui andare in vacanza ma sarebbe utile e interessante.

 

I VALORI DELL DEINFLUENCING

Se ci pensiamo, non è proprio una novità. Infatti, i siti come TripAdvisor e Trust Pilot sono pieni di recensioni negative. Alcune sono inutili e ridicole ma altre sono preziose.

Tuttavia, il deinfluencing ha un significato più profondo. Chi lo fa dice ai propri follower “non hai bisogno di questo prodotto per essere felice e accettato dalla società”, “non spendere invano i tuoi soldi”. “Non hai bisogno di 15 mascara per essere più bella”.

In breve: abbracciano una posizione anticonsumistica.

Anche in questo caso, non si tratta di una novità tout court. Infatti, idee come lotta al consumismo e decrescita felice circolano da un po’ di tempo nella nostra cultura. Probabilmente la crisi climatica e il periodo non proprio florido dal punto di vista economico ha reso queste esigenze ancora più attuali.

Tuttavia, c’è anche il bisogno di rifiutare un modello sociale basato sul possesso e sulla ricchezza. Che non è solo di oggi. Ad esempio, nel film di e con Luciano De Crescenzo Così parlò Bellavista il protagonista si lamenta del consumismo. Il film è del 1984.

Prima di scrivere questo articolo ho guardato un video su YouTube: una persona sconsigliava i libri da leggere. Risale a un anno fa. Segno che i deinfluencer esistevano ancora prima che fosse coniato questo termine. E che la sovrapproduzione, il consumismo e l’anticomunismo riguardano anche prodotti nobili come i libri.

Del resto, un aforisma di Karl Kraus recita: “Ma dove mai troverò il tempo per non leggere tante cose?”.

Ed eccone un altro: “Perché certa gente scrive? Perché non ha abbastanza carattere per non scrivere”.

 

Fateci sapere se l’articolo vi è piaciuto.

la redazione

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